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Stiamo attraversando una fase dove “cambiamento” è la parola più utilizzata e la volontà diffusa di riformare è fuori discussione: non “se”, ma ”quanto” e “come”. Tutti consapevoli dell’insostenibilità dell’esistente ma travolti dalla confusione su ciò che si deve fare. Vale in Economia come in Politica e in Società.

Possiamo dire anche: “finalmente!”. Per anni si è negata la portata della crisi, per altri anni si sono cercate soluzioni/scappatoie più o meno Gattopardesche nell’illusione che bastasse far passare la nottata ma, ora, la consapevolezza è diffusa: il mondo è diventato più piccolo, i modelli economici e sociali precedenti sono utilizzabili solo a condizione di riformarli radicalmente. Qualcuno potrebbe intravedere il rischio del caos ma madre natura ci ha dotato di grandi possibilità per andare oltre e continuare a crescere.

Come le persone, le organizzazioni riescono a reagire alle avversità non solo superandole ma anche mutando se stesse alla luce dei cambiamenti intervenuti. Si adattano al nuovo generando contemporaneamenteapprendimenti tali da orientarlo con logiche diverse da prima. La parola chiave è: RESILIENZA!

Il termine deriva dalla fisica e dalle scienze dei materiali e indica la proprietà di mantenere la struttura dei corpi dopo essere stati sottoposti a deformazione, in pratica: “mi piego ma non mi spezzo”. Le organizzazioni resilienti, attraversando le avversità, ne escono rafforzate invece che indebolite.

Come si distinguono le organizzazioni resilienti? Sono ottimiste, flessibili e creative; sanno privilegiare la risorsa umana e la capacità di lavorare in gruppo ma soprattutto, sanno apprendere da se stessi e dagli errori altrui.

Facendo lo sforzo di estrarre gli attributi fondamentali possiamo distillare:

1. l’impegno e la dedizione all’obiettivo lungimirante, cioè la tendenza a lasciarsi coinvolgerenell’azione, anonfarsispaventare dalla fatica che serve, a non mollare il campo, attenta e vigile ma non ansiosa;

2. il sistematico controllo dei processi in corso, cioè la convinzione di non essere in balia degli eventi ma di governare gli accadimenti;

3. il gusto per le sfide sempre più avanzate, cioè la capacità di convertire gli imprevisti in opportunità da sfruttare. Una mentalità di governance aperta e flessibile.

Questi attributi sono tanto poco scontati (cioè non si formano da soli) quanto acquisibili da chiunque qualora le scelte aziendali vanno coerentemente in quella direzione, innescando percorsi di crescita che rendono resiliente l’intera organizzazione e l’approccio culturale delle persone che la dirigono. Come rendere resilienti quelle organizzazioni che non lo sono ed orientare nuovi approcci o stili di governance dei loro dirigenti?

La cultura occidentale ci ha educato alla lotta simmetrica, alla resistenza agli attacchi, alla competizione per chi vince prima e di più, all’avversione verso ciò che è sconosciuto e non previsto (pensiero lineare e pianificatorio), con il risultato che l’avvento dominante della complessità mutevole rende confliggente ogni tipo di azione. Siamo più educati alla guerra che alla pace. Siamo più orientati ad annientare il nemico che a sfruttarne le diversità.

Noi facciamo le guerre mondiali a partire da singoli episodi/scintilla. In termini aziendali: costi eccessivi e resa minima, a parte i mercati ricostruttivi che si aprono dopo ogni guerra (ma questo è cinismo socio economico).

Per l’educazione alla resilienza dobbiamo attingere più dal pensiero orientale che dal nostro. Ogni vecchio samurai insegna che il potere distruttivo dei colpi inferti dal nemico non sta nella forza profusa dallo stesso, ma dalla resistenza che il ricevente contrappone. Se, in teoria, riuscissimo ad accompagnare il colpo che riceviamo dal nemico, ne neutralizzeremmo ogni effetto distruttivo. Cioè, l’armonia dei contraenti fa vincere la battaglia nella misura in cui si raggiungere la parità e il riconoscimento dignitoso del nemico.

La resilienza del samurai rappresenta la suprema forza laddove mantiene nel tempo il valore di ciò che difende nonostante la miriade di attacchi e cambiamenti trasformando la forza nemica (crisi) in una nuova opportunità da sfruttare. In questo senso l’incontro tra Occidente e Oriente, se ci lasciassimo permeare maggiormente dal pensiero orientale, potrebbe trasformarsi da arena di guerra dove si aspetta di vedere chi rimarrà a terra e chi vincerà, in un’occasione storica per generare nuove osmosi positive rigenerandoci in un mondo nuovo più piccolo ma più sinergico, solidale e rispettoso alla sostenibilità globale.